Tra un salto da fare e la meraviglia del presente: arrivederci 2023.

Incredibile.
All’inizio del 2023 mi ero ripromessa di scrivere di più, ora finisce e non ho neanche scritto una volta in questo luogo che, non fino a troppo tempo fa, consideravo casa.

Eppure poi il tempo scorre velocemente, le settimane si rincorrono e io, come sempre, attaccata al mio cavallo che corre veloce, all’impazzata (ricordate di cosa sto parlando, vero? Se non ne hai idea, clicca qui).
Ho imparato a rallentare, questo sì, a prendermi degli attimi solo miei, a calmare il respiro e a godere più del presente.
Ma di questo tempo che vola, proprio non me lo so spiegare.

Mi giro e mi chiedo dove sia finito il duemilaventitré, davvero sono già passati dodici mesi? Davvero è passato un anno?

No, ripeto, non me lo so spiegare.
E lo diceva anche Tiziano Ferro.

Poi capita che in una sera qualsiasi, apri il pc e decidi di scrivere perché comunque quest’anno è stato bello e va ricordato; con la mia solita paura di dimenticare, da qualche parte dovrò pur lasciarne traccia, oltre che nella mia memoria.
Anche quest’anno, nonostante il mio buonissimo proposito di scrivere più spesso, non ho tirato fuori neanche un articolo: eppure ho visto luoghi bellissimi, vicini e lontani, che meritavano di essere citati ma il tempo scorre e va così.
Magari riuscirò ad essere più presente su questi schermi il prossimo anno, magari.
E’ che mi dispiace: Attimi e Pillole di Viaggio è la mia creatura, il mio piccolo angolo di mondo e mi dispiace sempre tanto lasciarlo in modalità silenzioso, aspettando tempi migliori.

Ma, ripeto, va così.

Eppure questo duemilaventitré, dopo qualche anno fermi tra maternità e pandemia, ci ha tirato fuori tre viaggi incantevoli, oltre a tante mini gite nei dintorni.
E’ stato l’anno delle prime volte, dei primi Viaggi con la V maiuscola per Piccola Marti e quindi, inevitabilmente, anche per me.
Perché poi quando sei abituata a viaggiare da sola – o comunque in coppia, devi rivedere tutti gli aspetti perché è completamente diverso viaggiare con una bambina di quattro anni.
Brava, eh, per carità ma è comunque completamente diverso.

Poi però, se ci penso, alla fine il più bel viaggio di sempre è vederla crescere, vedere i suoi occhi meravigliarsi di tutte le cose che noi, ormai, diamo per scontato.
E allora mi ritrovo a meravigliarmi per una bandiera che sventola, per un treno che passa veloce sul binario, per un quadro appeso ad un muro in un castello lontano o, per essere in tema col periodo, per un albero di natale grande e luminoso.
Ecco, il più bel viaggio è imparare a meravigliarmi, di nuovo, di tutte le piccole cose che rendono la vita, alla fin fine, un incredibile viaggio meraviglioso (viva i giochi di parole, sempre e comunque).

Comunque.

Ad inizio aprile siamo stati a Napoli.
Non c’ero mai stata e ne avevo sentito soltanto tessere le lodi da parte dei miei genitori quindi, via, si va.
E’ stato un viaggio bellissimo, di quelli che quando torni sorridi: come dimenticare tutte le bellezze viste, i panorami incantevoli e poi, parliamone, il cibo.
Mamma- mia- il- cibo.
Abbiamo poi fatto anche tappa a Sorrento e Procida.
Di Procida, poi, me ne sono follemente innamorata. Mi era già capitato, insomma, di innamorarmi così di un luogo ma mai in Italia (se escludiamo Firenze, mia città italiana preferita). Però, quando ho visto Procida dall’alto, con tutte quelle casette colorate, circondate dal mare con le sue mille sfumature di blu, me lo sono proprio chiesta: <<Ma, io, a Nichelino (ndr. città alle porte di Torino), che ci faccio?>>.
Perché, esattamente, come si fa a non innamorarsi di Procida?
Se esiste il paradiso, me lo immagino esattamente così.

A fine estate, poi, la mia dolce metà ed io siamo scappati per un week-end romantico, da soli dopo quattro anni, in Valle d’Aosta.
C’eravamo già stati, sì, ma io avevo un obiettivo preciso: salire sullo Skyway Monte Bianco, la funivia che collega Cormayeur a Punta Helbronner a più di tremila metri.
Partiamo dal presupposto che la montagna non è il mio elemento, avevo le gambe che letteralmente tremavano mentre salivamo di quota però, poi, lassù, è stato davvero pazzesco.
Ne parlo ancora oggi con gli occhi a forma di cuore e, se mi dicessero di salirci in questo istante, infilerei la giacca termica e ci andrei di corsa. Perché uno spettacolo così, insomma, non te lo puoi neanche immaginare.
E’ stato incredibile, ci si sente in cima al mondo e, alla fin fine, un po’ lo sei davvero.
Circondato dalle montagne, da queste vette altissime, sei così in alto che sfiori le nuvole e guardi il mondo con lo sguardo verso il basso.
Da lasciare senza parole, assolutamente.

Poi abbiamo visitato i meravigliosi castelli che rendono famosa questa regione e nonostante le previsioni fossero di pioggia (e la pioggia ne è scesa anche parecchia), il sole è riuscito a fare capolino tra le nuvole parecchie volte, regalandoci panorami ancora più belli.

E infine, a fine ottobre, siamo volati in Romania, la terra della mia dolce metà: un viaggio di famiglia, di quelli che ti riempiono il cuore di amore, di allegria e di ricordi davvero speciali.

Destinazione Bacău, si è trattato del primo volo di Piccola Marti che era gasatissima e ha passato gran parte del viaggio a guardare dal finestrino, stupendosi e meravigliandosi di ogni piccola e grande cosa.
Come delle nuvole così vicine, ad esempio.

La Romania è un luogo che mi stravolge sempre, in senso positivo ovviamente.
Questa volta ci ha accolto con un gran sole, temperature stranamente calde e una marea di foglie gialle tipiche dell’autunno. Abbiamo percorso chilometri tra alberi secolari, boschi dalle mille sfumature: tutto così incredibilmente bello, così sorprendente da riempire gli occhi di bellezza.
Incredibile la Transilvania, con i suoi castelli e le sue tradizioni, panorami che si perdevano a vista d’occhio.
Così bella la Romania, così bella e così sottovalutata.
Torno a casa e come sempre mi dico che meriterebbe molto di più.

Il volo di rientro, poi, ci ha regalato un tramonto bellissimo da guardare con gli occhi a forma di cuore.
Non era il primo tramonto che vedevo da lassù ma, sicuramente, è stato il migliore.

Dunque, stasera prendo questo libro e, come ogni volta, lo chiudo, ne sfioro la copertina e lo metto sullo scaffale accanto a quello dell’anno prima e a quello dell’anno prima ancora.

Poco da fare, per me la fine dell’anno ha sempre qualcosa di malinconico.

Non posso fare a meno di pensare alla persona che ero un anno fa e a chi sono diventata.
Penso che, senza troppi grandi stravolgimenti, non siamo mai le stesse persone di un anno prima, forse neanche di un mese fa.
Personalmente, questo duemilaventitré, mi ha insegnato a volermi più bene: mi sono messa al primo posto più volte, mi sono spesso ricordata che mia figlia ha bisogno di una mamma felice e serena piuttosto che una mamma stanca e demotivata e, per esserlo, ho bisogno di pensare anche a me.
Sono fiera di essere riuscita a fare questo cambio di mentalità, di entrare nell’ottica di essere anch’io una mia priorità.

Quindi, eccoci, stasera chiudiamo questo libro e siamo pronti ad aprirne un altro.

Questo duemilaventiquattro lo sto aspettando con parecchia ansia e trepidazione.
Sarà l’anno del salto, l’anno che vedrà nascere un progetto che porto a cuore e che spesso mi fa svegliare nel cuore della notte, con gli occhi sbarrati.
E’ uno di quei progetti che ti fa fare domande del tipo: <<E se non funziona?>> che poi correggo sempre con: <<E se funziona, invece?>>.
Quindi, quando sono presa dalle domande e dai pensieri faccio un respiro profondo e mi ricordo di quella frase che dice più o meno così: se vuoi fare un passo in avanti, devi perdere l’equilibrio per un attimo.

Questa frase mi dà sempre una carica pazzesca e spero di non dimenticarmene mai: ci devo credere, sempre, fino all’ultima briciola di speranza che posso avere nel cuore.

Sono pronta, dunque.

Prendo la penna blu, scrivo the end su questo libro e metto la data sul libro nuovo.

Sorrido, come sempre.

Che incredibile fortuna poter iniziare un nuovo anno, avere l’opportunità di iniziare, ricominciare.

Scrivere.

La vita.

Buon duemilaventiquattro,

Enrica

Un cappello di ricordi
travolto dall’uragano della vita.
Esporsi, continuamente,
a sferzate di pioggia e di grandine.
E morire, senza mai morire davvero.
Sensazione
d’aver trovato il giusto incastro
nell’enigma del mondo,
ritrovando infine la via giusta,
varcando di nuovo,
la soglia di Me.
Sono a casa.
Stessi abiti,
diversi contenuti.
Nell’aria
la possibilità d’un respiro puro.
Nel cuore
la speranza di non smarrirmi più.

Martina Cora (1989-2015)
Link al suo canale youtube: qui.


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